18 Mar Mochi 51 Dolphin
Un lobster, barca dalla linea ispirata al New England reinventata con intelligenza. La carena è progettata per favorire la stabilità di rotta. Elevata la quotazione.
Dal rilancio di un marchio storico come Mochi Craft, voluto dal Gruppo Ferretti alla fine del 2001, è nata una linea di yacht esclusivi e stilisticamente caratterizzati. Nella nautica un progetto voluto da Norberto Ferretti nasce quasi sempre con il passaporto per il successo. E’ così che oggi esaminiamo uno yacht che porta il nome di uno dei maggiori cantieri italiani degli anni 80 e non si tratta di un Mochi Europa o di uno dei modelli che contesero il mercato di quegli anni ad Azimut e Ferretti. È il Mochi 51 Dolphin, che, opinione personale, riteniamo degno di figurare tra le barche stilisticamente più intriganti e attuali. Curiosando nei saloni o sul web è facile trovare yacht ispirati alle aragostiere dei Banchi di Terranova e alle pilotine mediterranee degli anni ’60 e ’70. Tra le tante, alcune sono interessanti e dotate di carisma ma nessuna ha mostrato la capacità di riproporre un classico con uno stile emozionante e fresco come la linea Dolphin. Prova L’esemplare, esaminato in una perizia, è stato costruito nel 2002, ben conservato ed efficiente e quindi interessante sia per quanto riguarda le potenzialità della barca provata nelle condizioni in cui viene normalmente utilizzata, sia per l’esame degli effetti dell’invecchiamento nel breve periodo. Le condizioni meteo erano quelle che tutti abbiamo conosciuto in questo inverno fuori della norma nell’alto Tirreno, inconsueta alta pressione e temperature quasi estive con assenza di vento e mare quasi calmo. L’accesso al pozzetto è con la classica passerella idraulica che, quando non è in uso, scompare sotto il piano di calpestio. Balza all’occhio la mancanza della canonica plancetta di poppa. C’è solo un accenno di gradino largo pochi centimetri che non può considerarsi utile per le attività balneari. La soluzione adottata si intuisce osservando lo specchio formato da due parti distinte: quella superiore è incernierata alla sommità per permettere il movimento verso l’alto e quella inferiore si ribalta scendendo fin quasi a filo d’acqua rendendo possibile il varo del tender alloggiato nel garage sotto al pozzetto. Sulla praticità del sistema abbiamo qualche riserva… Si inizia ad alleggerire l’ormeggio e risulta evidente che il progettista, pur ponendo il risultato estetico quale priorità, ha centrato il corretto dimensionamento e posizionamento di passacavi, bitte e verricelli di tonneggio rendendo le operazioni di ormeggio e disormeggio a poppa semplici e sicure. Questa considerazione è riferita alle manovre eseguite in condizioni di tranquillità mentre la faccenda risulta un po’ più complicata in emergenza. Anche questo aspetto sarà ripreso più avanti. Si arriva a prora con un po’ d’ansia dopo aver percorso un passavanti stretto. Nella versione standard si sente la mancanza della battagliola, sacrificata in nome della pulizia estetica. Nel nostro caso la battagliola era presente (è una dotazione opzionale) e, anche se la linea della barca ne soffre, per chi deve andare a prora, la sensazione di sicurezza è maggiore. La zona a prua della tuga è libera e la sensazione di spazio, in rapporto alle dimensioni dello yacht, è unica. Aprendo il portello del pozzo della catena si accede al salpaàncore posizionato sotto il piano di coperta. In questo modo si accede al fusto dell’àncora rientrata nella cubia ricavata nel dritto di prora e si intuisce che salpare la catena è un’operazione pulita e non porta fango in coperta. Si nota, però, che la linea di tiro per le operazioni di tonneggio non è ideale ed il cavo deve scavalcare la falchetta, in posizione più elevata della campana del verricello. Alla sommità della falchetta, sulla congiunzione dei due capodibanda, è posizionato il passacavo a forma di “bocca di granchio” nel cui occhio passano le cime d’ormeggio, cui si dà volta alle bitte nascoste sotto il bordo della falchetta. Sistemati alla timoneria (l’unica) di comando interna si gode di buona visibilità su 360° grazie ai sottili montanti del parabrezza e dell’hard top. Anche se la sensazione di controllo non è quella di una timoneria esterna, con un minimo d’esperienza le manovre in acque ristrette non creano problemi. Si pone però la necessità di fare l’occhio agli ingombri della poppa non immediatamente percepibili. La consolle rivestita di pelle e teak accoglie strumenti di controllo e navigazione di tipo digitale e in un quadro di dimensioni non eccessive è raccolto tutto quanto serve. Avviati i motori si apprezzano la silenziosità di funzionamento, l’assenza di vibrazioni e la dolcezza di inserimento della trasmissione comandata da manette elettroniche, elementi fondamentali nella valutazione del comfort, uno dei punti forti. Lasciate le acque del porto in dislocamento a bassa velocità, si apprezza l’assetto longitudinale corretto che non limita la visibilità verso prora e anche quando lentamente si aumentano i giri, la poppa non “annega” mai, la barca assume un assetto solo leggermente appoppato che tiene la prora alta quel che basta per restare agile e leggera sull’onda senza limitare la visibilità anteriore. Questo comportamento colpisce positivamente chi ha avuto modo di provare unità simili, costrette a un pesante uso dei correttori d’assetto. La variazione d’assetto longitudinale è così contenuta e graduale che non è facilmente avvertibile il momento in cui si passa dal dislocamento alla planata. Le condizioni non erano certo severe e per valutare la risposta della carena alle sollecitazioni delle onde, ma abbiamo intersecato varie scie. La prora affinata taglia le onde con dolcezza, non si avvertono impatti, la barca non beccheggia in modo apprezzabile né si ode il tipico rombo che l’onda corta crea sulle carene piatte. Emerge una caratteristica tipica delle chiglie a pinna: la grande stabilità di rotta (peraltro una qualità apprezzabilissima) rende ampio il raggio d’evoluzione e, se si desidera “chiudere” rapidamente un’accostata è necessario aiutarsi con i motori. Personalmente ritengo che, per questo tipo di unità, la durezza nell’evoluire non sia un difetto ma una caratteristica che si è persa con l’avvento delle carene più piatte e con i sistemi di trasmissione non “in linea”. Il 51 Dolphin viene proposto con due motori standard Man D2848 LE 403 8V da 800 cv con 33,5 nodi di velocità massima o con i nuovi Man Common Rail da 900 cv e 35 nodi di massima. In genere, si raggiungono di rado i nodi annunciati. Nel nostro caso la barca era equipaggiata i Man da 800 cv e ha colto la performance promessa con 33,5 nodi di massima ottenuti a 2.350 giri con circa 2.000 litri di gasolio e serbatoi d’acqua a metà. Nelle stesse condizioni a 2.000 giri (grosso modo è il regime di crociera), la velocità è di 27,3 nodi. I risultati sono di tutto rispetto in assoluto e ancor più perché il comfort di navigazione non dà la sensazione della velocità. A tutta manetta si può mettere il timone alla banda e ciò che si ottiene è una dolce e progressiva inclinazione all’interno dell’evoluzione. Sempre in piena velocità è notevole il ridosso dal vento della corsa creato dalla sovrastruttura e dal paramare: si può quasi leggere il giornale sdraiati sul prendisole del pozzetto. In tema di vento, si può immaginare (non ne abbiamo avuto conferma pratica) che lo yacht sia poco sensibile agli effetti del vento laterale durante le manovre d’ormeggio grazie a superfici correttamente distribuite sul piano longitudinale. Il bow thruster elettrico svolge il proprio compito e pare in grado di “reggere” la prora in condizioni non ottimali.
La costruzione
Laminato pieno in resina poliestere isoneopentilica con strati esterni di vinilestere per l’opera viva e sandwich sotto vuoto per opera morta, coperta e sovrastruttura: tecnologia e materiali avanzati per un prodotto che promette di mantenersi inalterato per lungo tempo. Il disegno della carena a V profonda è caratterizzato da una prora affinata, da pattini longitudinali Hunt e da un angolo di stellatura di 19,3°, un valore equilibrato per il tipo di navigazione prevista e per le prestazioni volute in rapporto alla potenza. Verso poppa, dall’uscita degli astucci degli assi delle eliche, nella carena sono ricavati due semitunnel che offrono alcuni vantaggi: minore immersione sotto le eliche (e minor possibilità di “toccare”), minor angolo di inclinazione degli assi rispetto al livello del mare e maggiore efficacia delle eliche che risultano semintubate. I rinforzi interni dello scafo sono costituiti principalmente da un controstampo strutturale di tranquillizzanti dimensioni. La linea dell’opera morta è splendida con le murate svasate a prora che verso poppa rientrano per creare due giardini e una poppa decisamente… “sexy”. A dare eleganza e slancio alla vista laterale contribuiscono anche il cavallino non estremo evidenziato dal capodibanda di teak massello verniciato a trasparente, e le linee dolci prive di qualsiasi spigolo della sovrastruttura. In coperta, a poppa, l’enorme pozzetto rivestito di teak la cui parte centrale (più o meno equivalente alle dimensioni del sottostante garage) si eleva idraulicamente e si trasforma in un prendisole su cui può esser stesa la cuscineria che forma il divano di poppa. Il movimento di sollevamento e rientro è attivato dalla centralina idraulica e su tutto il perimetro del piano è fissato un dispositivo di sicurezza a pressione che evita il rischio di ferirsi durante la chiusura del dispositivo. La parte anteriore del pozzetto è dotata di un blocco attrezzato sulla dritta e di un altro divano a due posti rivolti verso poppa la cui seduta si solleva, aprendo l’accesso al locale del marinaio. Attraversando la porta tra pozzetto e salone, c’è sulla sinistra un divano a C con tavolo da pranzo, comodo per quattro e, sulla dritta, un mobile che corre lungo il fianco fino alla colonna frigo che divide questo ambiente dalla cucina. Il piano di calpestio della cucina è più basso rispetto al salone per dare maggiore abitabilità, dispone di doppio lavello, di un piano di lavoro e di piano di cottura in vetroceramica di dimensioni “casalinghe”. In questa situazione positiva, stona la posizione avanzata del piano di cottura che, localizzato proprio sotto il parabrezza, non è il massimo per cucinare. Di fronte, sulla sinistra, la postazione di comando con un divano non bellissimo ma dotato della seduta trasformabile per rendere più comoda la guida in piedi, più efficace con mare formato o in manovra in spazi ristretti. Avanzando e scendendo tre scalini si accede alla zona notte costituita da due cabine: ospiti sulla sinistra e armatoriale a prora, arredate entrambe con mobili ben realizzati dal gusto classico e sobrio. La sala macchine, rispetto alle dimensioni, è ampia e razionale e al pari dell’impiantistica di bordo si distingue per l’accuratezza della realizzazione che mostra il lavoro di progettazione svolto a monte del posizionamento dei componenti.
Conclusione
Un progetto “nuovo”, ricco di intuizioni e di buon gusto che ha raggiunto standard e limiti con cui i concorrenti devono confrontarsi, o viceversa è una barca “vecchia” perché riprende impostazioni e canoni estetici della prima metà del 900? Non abbiamo dubbi: la serie Dolphin è il risultato di un lavoro di grande qualità ed è mirato sul risultato voluto: una barca di classe e carisma superiori, dedicata a navigazioni di piccola altura e crociere di breve periodo nel massimo del comfort. Una barca perfetta? Ovviamente no, è un bellissimo giocattolo con pregi e difetti come tutti gli yacht e, per quanto è possibile scoprire in poche ore, ritengo si possa migliorare. In merito all’ampio raggio di evoluzione, non è un difetto reale ma, oggettivamente, ci sono molte barche decisamente più pronte nella risposta.